"Ah! Nous voici en Italie !” - “Ah! Eccoci in Italia!”
L’Ottocento. Un secolo lungo, terminato solo all’indomani della Prima Guerra Mondiale, secondo la fortunata interpretazione di Eric Hobsbawm. Un’epoca tanto densa di fatti, tendenze, nuove idee da far sì che una centuria non bastasse a contenere quell’enorme serbatoio di onde lunghe della storia. Un’epoca in cui l’Italia ha vissuto il proprio Risorgimento e raggiunto l’Unità, di cui l’anno scorso abbiamo celebrato il centocinquantenario. Per questo “acini di storia” vi propone un viaggio nel tempo, alla ricerca degli sguardi degli osservatori stranieri, che allora per la prima volta videro l’Italia una: una nella politica, una nella cultura…una anche nel vino?
La vetrina per eccellenza, allora come oggi, per la mostra delle proprie produzioni nazionali era costituita dalle esposizioni universali che, come è stato rimarcato, “costituiscono una delle espressioni più spettacolari di questo eccezionale momento della storia europea. Sono il vasto teatro del mondo, in cui l’Europa, divisa in Stati nazione concorrenti, ma cosciente della propria unità culturale, si mostra a se stessa e al mondo”.[1]
La prima esposizione universale si tenne a Londra nel 1851, e venne seguita da molte altre analoghe manifestazioni in Europa e non solo. A turno diverse città accolsero le migliaia di visitatori che da tutto il mondo venivano ad ammirare il vecchio continente, che ancora tanto vecchio non era. Il successo delle esposizioni aumentò di anno in anno, per arrivare al culmine toccato dall’esposizione di Parigi del 1900, quando la Ville Lumière accolse quarantotto milioni di visitatori in sei mesi[2]. Ancora oggi a Londra o a Parigi è visibile il segno lasciato da quei grandi eventi: la Tour Eiffel, il Crystal Palace, sono lì a ricordarci la modernità di un’epoca ormai lontana. Nel proprio padiglione ogni Stato faceva mostra delle proprie ricchezze e delle proprie moderne acquisizioni nei campi più disparati: dalla cultura al commercio, dalla scienza alla tecnica, dalle colonie all’espansione industriale.
La prima esposizione di carattere nazionale cui parteciparono i produttori vitivinicoli italiani fu quella organizzata a Firenze nel 1861, già intesa dalla classe dirigente come una tappa preliminare alla partecipazione alle grandi manifestazioni internazionali… “perché questo regno possa presentarsi convenientemente a quella universale di Londra già decretata per l’anno successivo”.In quel periodo in cui, secondo la celebre espressione di Massimo D’Azeglio, si stavano “facendo gli italiani” la partecipazione a una kermesse internazionale in cui far mostra delle proprie glorie nazionali era un’occasione da non perdere. Essa poteva divenire il tassello di un processo di costruzione identitaria che venisse dalle radici stesse della cultura, e coltura nel caso del vino, nazionale. La manifestazione poteva inoltre costituire una vetrina inedita e originale per uno Stato nazione recentemente formato, alla ricerca del proprio posto tra i grandi d’Europa. Per questo, come osservato da molti autori, nonostante le difficoltà economiche attraversate dal paese si cercò di mantenere alto il livello di partecipazione dell’Italia e dei propri prodotti alle esposizioni[3].
Così, nel 1862, gli espositori che l’anno prima avevano partecipato alla prima Esposizione generale in Toscana salparono oltre la Manica, dove li attendeva l’opinione pubblica straniera.
Abbiamo quindi proseguito la nostra passeggiata attraverso la parte straniera della Navata, nel nostro percorso verso la volta occidentale. Passando lungo il lato sud della Navata, abbiamo vissuto l’enorme gratificazione, per la prima volta, di riconoscere fra gli espositori un’Italia Unita.
Firenze, nel 1861, aveva presentato al mondo i primi frutti dell’Unità e della libertà italiana nella sua Esibizione Nazionale Italiana. Prima di quell’anno così memorabile, diversi Stati italiani avevano organizzato le loro esposizioni particolari che, sebbene eccellenti, non avevano mai riunito in unico luogo la produzione di tutta l’Italia, in modo da dare l’opportunità di comparare e informare. Gli Italiani e i loro visitatori possono ora, per la prima volta, fare una stima corretta dei prodotti, delle industrie, e delle Belle Arti, così come esse si trovano in ogni parte del paese, dalla piana della Lombardia al punto più distante della Calabria.
Nella prima settimana i visitatori hanno avuto l’opportunità di vedere il bestiame italiano, che è stato mostrato in un immobile vicino all’Esibizione, poiché le varie razze hanno suscitato grande ammirazione. I mezzi agricoli erano di una notevole varietà, poiché si estendevano dall’aratro, così come usato dagli antichi Romani, alle più perfette riproduzioni delle più recenti tecnologie. Grande attrazione era la casa di un contadino toscano, con i suoi occupanti, tutti gli strumenti del suo mestiere e il suo bestiame. L’orticoltura e l’agricoltura del paese erano ben rappresentate in tutte le loro bellissime varietà.[4]
La stampa inglese ammirò anche il potenziale industriale della neonata Italia, non ancora minaccioso per l’orgoglio delle grandi potenze, la cui rivalità era tutt’altro che mascherata in questo sfoggio di glorie nazionali.[5]
Cinque anni dopo, la risposta di Napoleone III alla sfida lanciata dalla International Exhibition di Londra del 1862, fu una vetrina ancora più importante per l’Italia e i suoi prodotti. L’Exposition Universelle del 1867 voleva rappresentare le ambizioni enciclopediche del II Impero: “il concetto di universalità si legò indissolubilmente alle esposizioni”[6], divenute un evento culturale, politico ed economico di assoluta legittimità internazionale. I prodotti agricoli e alimentari italiani, accanto alle Belle Arti, furono in quell’occasione fra i prodotti maggiormente celebrati dagli osservatori stranieri. Ecco le parole di Henry Thiers, dedicate all’Italia e al suo vino in occasione della sua partecipazione all’Exposition Universelle di Parigi del 1867:
L’Italia è a giusto titolo il paese i cui destini preoccupano maggiormente i nostri spiriti in questo momento. Ma mentre tutti gli sguardi si rivolgono al teatro della sua azione politica, non si può trascurare lo studio di questo popolo su una scena più calma in cui il suo sviluppo intellettuale e morale, le risorse commerciali, il progresso dell’industria, si affermano e rivelano all’osservatore attento. […] Il più grande omaggio riconosciuto a questa nuova installazione, è secondo me in questa frase, con cui ho sempre sentito salutare la sezione italiana da parte del pubblico: «Ah! Eccoci in Italia!», e questo grazie al solo effetto suscitato dall’aspetto dei luoghi. Non è forse vero che se il visitatore ha indovinato giusto, è perché l’Italia è qui, vivente, perché il suo genio è qui sensibile, eclatante, che parla agli occhi? […] Se volgendo l’attenzione dalle materie utili e preziose prodotte dal suolo, lasciamo errare i nostri occhi su questo vasto territorio – più di 25.000 ettari – la natura ci sommergerà con la sua prodigiosa fecondità. Tutte le colture riescono nel tepore di questa atmosfera. Vigne, praterie, risaie, uliveti, castagneti, boschi, foreste, pascoli, si succedono, mettendo in risalto ovunque il vigore del suolo e l’eterna giovinezza della terra. [..] Che dire poi dei vigneti i cui prodotti hanno una nomea universale ? E degli olii che sono richiesti su tutti i mercati? […] Possiamo dire che, dal punto di vista della fertilità del suolo, alcuna contrada d’Europa riunisca tanti elementi di prosperità.[7]
Un’Italia unita, la cui gloria non risiedeva solo nel proprio patrimonio artistico, ma nella terra, nella varietà del suolo, nel vino dalla “nomea universale”. Plauso tanto più importante in quanto all’indomani dell’Unità la campagna italiana attraversava un momento economicamente e socialmente sfavorevole, che venne messo ulteriormente alla prova prima dall’ invasione dell’oidio (1845), poi dalla peronospera (1878), quindi dalla fillossera: quest’ultima in particolare mise in crisi la produzione vitivinicola italiana ed europea per oltre cinquant’anni, distruggendo i vitigni di buona parte del vecchio continente[8]. La congiuntura di fine secolo fu tanto sfavorevole che fu necessario attendere mezzo secolo per una vera e propria ripresa della produzione vinicola, italiana in particolare: la campagna della Penisola necessitava di riforme istituzionali e, all’inizio del nuovo secolo, le Guerre Mondiali privarono l’agricoltura della forza lavoro.
Per questo all’inizio del Novecento un produttore di vino americano, alle prese con la redazione di una monumentale e onnicomprensiva Story of the Vine, si esprimeva in termini critici nei confronti della produzione italiana, non sufficientemente attenta all’enologia, secondo il suo sguardo proveniente da terre lontane. Sebbene critico, come Thiers anche lui riconosceva “l’assoluta perfezione del suolo e del clima” della nostra Penisola, la cui produzione vinicola sembrava pagare per lo più lo scotto delle mancate riforme e delle sfortunate epidemie che avevano sconvolto i vitigni nostrani[9].
Spostando lo sguardo all’interno dei nostri confini nazionali, Italo Giglioli, giurato all’Esposizione universale di Parigi del 1900 e direttore della Sezione Agraria di Roma, faceva un’analisi analoga della situazione. Nella sua Relazione sulle condizioni dell’Agricoltura Italiana in paragone colle condizioni dell’Estero egli tratteggiava con precisione il malessere attraversato dal mondo agricolo italiano nel suo complesso, dedicando alcune pagine al mondo vinicolo sconvolto dalle epidemie ottocentesche già citate, seppur nella necessità di competere con i ritmi produttivi delle altre nazioni europee. Sebbene preoccupato dalla sfavorevole congiuntura Giglioli lasciava spazio ad alcune osservazioni positive, indicando la strada da percorrere al più presto:
L’Italia supera tutte le altre nazioni in Europa, e fuori d’Europa nella estensione dei suoi vigneti. […] In Italia la produzione del vino è quella nella quale, più che nelle altre nostre produzioni, sono evidenti i segni di miglioria, tanto per l’accresciuta quantità totale come per la migliorata qualità del prodotto.[10]
E più avanti:
Queste considerazioni sopra la produzione vinaria nei vari paesi, ed intorno al consumo di bevande alcoliche presso popoli diversi dimostrano quale bella e benefica via resti ancora aperta all’industria italiana. […] Ma non si ritardi troppo nel fruire del periodo propizio.[11]
Bibliografia:
La Belle Europe, Le temps des expositions universelles: 1851-1913, catalogo della mostra «La belle Europe», Musées Royaux d’art et d’histoire, Bruxelles, 26/10/2001-17/03/2002, Bruxelles, Ed. Tempora, 2001.
M. Da Passano, A. Mattone, F. Mele, P. F. Simbula, La vite e il vino, storia e diritto (secoli XI-XIX), Roma, Carocci, 2000, 2 voll.
J. H. Findling, Historical Dictionary of World fairs and expositions (1851-1988), New York, 1990.
Linda Aimone e Carlo Olivio, Les expositions universelles (1851-1900), Belin, Paris 1993
P. Greenhalgh, Ephemeral vistas, expositions universelles, great exhibitions and world fairs, (1851-1939), Manchester, Manchester University press, 1988.
M. Misiti, L’Italia in mostra, in «Passato e Presente: rivista di storia contemporanea», 37, Milano, Franco Angeli, 1996.
B. Schroeder-Gudehus, A. Rasmussen, Les fastes du progrès, le guides des expositions universelles (1851-1992), Flammarion, Paris, 1992.
Fonti :
E. Emerson, The Story of the Vine, Putnam’s Sons, New York, London, 1902.
I. Giglioli, Malessere agrario ed alimentare in Italia, Relazione di un giurato italiano all’Esposizione Universale di Parigi, nel 1900, sulle condizioni dell’agricoltura in Italia, in paragone colle altre Nazioni, Roma Loescher 1903.
H. Thiers, L’Italie à l’exposition universelle de 1867, extrait de la revue populaire de Paris, Paris, Balitout, 1867.
Tal. P. Shaffner and W. Owen, The illustrated record of the international exhibition of the industrial arts and manufactures, and the fine arts, of all nations, in 1862, in a series of tinted steel engravings, comprising views of the building, and of the principal objects exhibited, also, several views of the exhibition of 1851, from daguerreotypes taken at the time, forming a commemorative work of the two great exhibitions of the world's industry in 1851 and 1862, with historical and descriptive letterpress, London, New York, London Printing and Pub. Co., 1862.
[1] La Belle Europe, Le temps des expositions universelles: 1851-1913, catalogo della mostra «La belle Europe» tenutasi a Bruxelles, ai Musées Royaux d’art et d’histoire, durante la Presidenza Belga dell’Unione Europea (26/10/2001-17/03/2002), Bruxelles, Ed. Tempora, 2001, p. 20.
[2] Ibidem.
[3] Cfr. Marinella Ferrai Cocco Ortu, Una nuova via per il commercio del vino: le esposizioni internazionali e nazionali del secolo XIX, in M. Da Passano, A. Mattone, F. Mele, P. F. Simbula, La vite e il vino, storia e diritti (secoli XI-XIX), Roma, Carocci, 2000, vol. 2, pp. 769-800, p. 783.
[4] Tal. P. Shaffner and W. Owen, The illustrated record of the international exhibition of the industrial arts and manufactures, and the fine arts, of all nations, in 1862, in a series of tinted steel engravings, comprising views of the building, and of the principal objects exhibited, also, several views of the exhibition of 1851, from daguerreotypes taken at the time, forming a commemorative work of the two great exhibitions of the world's industry in 1851 and 1862, with historical and descriptive letterpress, London, New York, London Printing and Pub. Co., 1862. Testo originale: “We may next pursue our course through the foreign portion of the Nave, on our way to the Western Dome. Passing along the south side of the Nave, we had the great gratification, for the first time, to recognize a United Italy as an exhibitor. Florence, in 1861, presented to the world the first fruits of Italian Unity and freedom in its Italian National Exhibition. Previous to this memorable day year, several of the Italian States had held their exhibitions, which, whatever their excellence, had never brought under one roof the productions of all Italy, so as to afford the opportunity of comparison and instruction. Italian and their visitors could now, for the first time, form a correct estimate of the products, the industries and fine arts, as they were found in every portion of the country, extending from the plain of Lombardy to the most distant part of Calabria. […] For the first week, the visitors had the opportunity of viewing the cattle of Italy, which were shown in a building near the Exhibition the various breeds exciting much admiration. The agricultural implements presented a remarkable variety, extending, as they did, from a plough, as rude as any used in the time of the ancient Romans, to the most perfect imitations of our own improvements. A very great attraction was the house of a Tuscan peasant, with its living occupants, all the implements of his craft, and his live-stock. The horticulture and agriculture of the country were well represented in most beautiful specimens.”
[5] J. H. Findling, Historical Dictionary of World fairs and expositions (1851-1988), New York, 1990.
[6] V. Gonzalez Loscertales, L’invenzione delle Esposizioni Universali, in M. A. Crippa, F. Zanzottera (a cura di), Expo x Expos: comunicare la modernità: le esposizioni universali, 1851-2010, Triennale di Milano, 5 febbraio - 30 marzo 2008, Milano , Electa, 2008, p. 11.
[7] H. Thiers, L’Italie à l’exposition universelle de 1867, extrait de la revue populaire de Paris, Paris, Balitout, 1867. Testo originale : «L’Italie est à juste titre le pays dont les destinées préoccupent le plus les esprits en ce moment. Mais tandis que tous les regards se tournent vers le théâtre de son action politique, il n’est pas sans importance d’étudier ce peuple sur une scène plus calme où son développement intellectuel et moral, les ressources de son commerce, les progrès de son industrie, s’affirment et se révèlent à l’observateur attentif. […] Le plus grand hommage décerné à la nouvelle installation, est selon moi dans cette phrase dont j’ai toujours entendu le public saluer la section italienne : « Ah ! Nous voici en Italie ! », et cela par le seul effet de l’aspect des lieux. N’est-il pas vrai que si le visiteur a deviné juste, c’est que l’Italie est là vivante, que son génie est là sensible, éclatant, qu’il parle aux yeux ? […] Si détournant notre attention des matières utiles et précieuses enfouies dans le sol, nous laissons nos yeux errer sur ce vaste territoire - plus de vingt-cinq mille hectares – la nature va nous éblouir par sa prodigieuses fécondité. Toutes le cultures réussissent dans la tiédeur de cette atmosphère. Vignes, prairies, rizières, olivettes, châtaigneraies, bois, forets, pâturages, se succèdent, accusant partout la vigueur du sol et l’éternelle jeunesse de la terre. [..] Que dire des vignobles dont les produits ont une renommée universelle? Des huiles qui sont demandés sur tous les marchés ? […] On peut dire que, qu’au point de vue de la fertilité du sol, aucune contrée de l’Europe ne réunit autant d’éléments de prospérité.»
[8] P. Grillo, V. Manganelli, Storia del vino: produzione e consumo, in «La cultura italiana», Utet, 2009, vol. VI, pp. 195-196.
[9] E. Emerson, The Story of the Vine, Putnam’s Sons, New York, London, 1902, pp. 99 e seguenti.
[10] I. Giglioli, Malessere agrario ed alimentare in Italia, Relazione di un giurato italiano all’Esposizione Universale di Parigi, nel 1900, sulle condizioni dell’agricoltura in Italia, in paragone colle altre Nazioni, Roma Loescher 1903, p. 242.
[11] Ivi, p. 253.